Cous Cous

Titolo originale La Graine et le Mulet
di Abdel Kechich
Cast: Habib Boufares, Hafsia Herzi, Faridah Benkhetache, Abdelhamid Aktouche, Bouraouïa Marzouk.
Genere:Drammatico
durata 151 min. – Francia 2007

Senza troppo indagare le ragioni che hanno diviso una coppia di immigrati magrebini in Francia, evitando di moralizzare sulla perdita della lingua araba tra i discendenti di seconda e terza generazione, guardandosi bene dal criticare chi generalizza e non apre la porta alle altre culture, Abdellatif Kechiche riunisce una famiglia intorno al piatto che più rappresenta la loro cultura: il cous cous.
Capo indiscusso della famiglia un padre mite, lavoratore indefesso, che, fresco di licenziamento dal cantiere portuale, dà seguito al progetto di rilevare una barca e trasformarla in un ristorante. L’amore che raccoglie dai figli, dall’ex moglie, dalla nuova compagna e soprattutto dalla figliastra lo guidano in una vita semplice, fatta di gesti altruistici e rinunce allo scontro. Il potere, energicamente gestito dalle donne, accetta di orientare le proprie forze assecondando il sogno di un emigrante che ha bisogno di lasciare qualcosa ai figli per giustificare il viaggio della speranza, l’allontanamento dalle radici, l’integrazione e l’accettazione di una società altra ma mai considerata ostile.
150 minuti scorrono tra dialoghi teatrali serratissimi e di grande realismo, e momenti di contemplazione che perfettamente disegnano la dimensione dei personaggi, gli impulsi femminili ad una generazione di uomini più tolleranti nei confronti delle ingiustizie, più flessibili, a volte responsabili, altre completamente in balia di istinti animaleschi. La burocrazia francese si manifesta lenta e incapace di scorgere nelle parole del protagonista, la capacità di realizzare i suoi sogni, ma forma e sostanza dell’inaugurazione del ristorante galleggiante non tarderanno a sciogliere i visi dei più scettici e a distrarre gli accaniti concorrenti.
Sullo sfondo di tanti vitali confronti la cucina, i riti conviviali, il pensiero per chi muore di fame, l’insistenza affinché tutti partecipino al rito domenicale che vede la madre assemblare ciò che la famiglia contribuisce a procurare o a smaltire. L’eccezionale ricchezza di colori e l’ottimo ritmo con il quale il film è montato conduce lo spettatore in un tunnel di sapori, colori, tradizioni, irriverenza e sensualità raggiungendo l’obbiettivo di raccontare una storia di quotidiana integrazione regalando un universale esempio di ricerca della felicità attraverso l’unione degli intenti, la raccolta delle anime sotto ad un sogno, la caratteristica tutta mediterranea di riunire le menti intorno ad un tavolo e accompagnare la loro vita con il lento fluire delle pietanze. Tra i grandi meriti da ascrivere al regista, anche sceneggiatore, quello di rendere tutti gli interpreti particolarmente credibili, il protagonista maschile silenzioso e accattivante, mentre alla giovane figliastra regala cinque minuti di una struggente danza del ventre che commuove per dedizione e infiamma per sensualità, in un finale tagliato come se si spegnesse il fuoco sotto una pietanza che ha raggiunto il perfetto stato di cottura.
Andrea Monti