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C’E’ MUSICA NEL BICCHIERE
A lungo sottovalutato, il vitigno tipico del Salento risale la china nelle preferenze dei consumatori, anche grazie a nuove tecnologie di cantina e al lavoro di esperti enologi. Un itinerario turistico-gastronomico nelle zone di produzione, accompagnati dal Movimento Turismo del Vino di Puglia. Da Lecce a Gallipoli a Otranto, attraversando, dal mare Adriatico allo Ionio, questo affascinante lembo estremo d’Italia.
C’è una “o” di differenza e dalla musica si passa al vino, ma il passaggio è agevole, perché anche il vino è musica, per il palato. L’enciclopedia di Wikipedia è chiara: “I Negramaro sono un gruppo rock italiano che trae il nome dal Negroamaro, un vitigno della terra d’origine della band, il Salento. Se stai cercando l’omonimo vitigno, vedi Negroamaro”. A noi interessa il Negroamaro con la “o” nel mezzo, questo vitigno vigoroso, dalla produzione costante e abbondante, adattabile con facilità ai climi caldi e a diversi tipi di terreno, con preferenza per quelli calcareo-argillosi, come quelli del Salento, appunto.
La provincia di Lecce è un vero mosaico di denominazioni d’origine controllata: il Negroamaro, vitigno straordinario, è alla base di quasi tutti i rossi e i rosati di quest’area (da qui provengono i migliori rosati d’Italia: in nessun’altra regione vitivinicola questa tipologia ha un ruolo così determinante e riveste tanta importanza, sia economica che d’immagine). Usato sfuso sino a 30 anni fa solo per tagliare vini meno possenti, oggi il Negroamaro del Salento entra nella composizione di una cinquantina di vini Doc pugliesi (più frequentemente unito a Malvasia Nera, Sangiovese, Montepulciano, anche Cabernet Sauvignon e Merlot) ma sempre più spesso viene imbottigliato in purezza. Il che è una sfida per gli enologi.
Gli esperimenti condotti dal Cnr in alcune aziende per la selezione di lieviti autoctoni di Negroamaro lasciano ben sperare per il futuro: dalla cura delle vigne si è passati a studiare meglio come si può intervenire in cantina, con lieviti appropriati e temperature controllate.
Una sfida – quella del Negroamaro in purezza – che ha raccolto anche uno dei più noti tecnici italiani del vino, Riccardo Cotarella, prima restio a occuparsi di questo vitigno, oggi sempre più entusiasta dei risultati ottenuti lavorando con il suo staff nella azienda L’Astore di Cutrofiano (www.lastoremasseria.it). Assaggiato nel corso di un tour organizzato dal Movimento del Turismo del Vino Puglia, il “Filimei 2007” de L’Astore (Negroamaro al 100 per 100) è degno di nota, oltre che per il buon rapporto qualità-prezzo, per la morbidezza, buona struttura e grande indice di piacevolezza. Domati i tannini, se il Negroamaro raggiunge morbidezza ed equilibrio acido-alcolico, ecco si avvertono sempre più decise le note di piccoli frutti rossi, confetture e spezie, sensazioni stimolanti che permangono a lungo in bocca.
Le Cantine L’Astore – cominciamo da qui il nostro giro per la terra salentina – è il segno di una nuova era che si sta aprendo per questa terra, vinicola da sempre, sottovalutata per troppo tempo ed ora giustamente all’attenzione degli esperti mondiali. Solo alla fine degli Anni ’90, Achille Benegiamo, noto chirurgo, insieme ai figli decise di far rivivere questa azienda. Accanto all’antico e suggestivo frantoio ipogeo del XVIII secolo, ecco la modernissima cantina di vinificazione: investimenti notevoli, ma è così che l’enologia salentina può ripartire con certezze di vittoria, come è accaduto 30 anni fa in Franciacorta, dove a rischiare furono imprenditori illuminati che investirono nelle aziende vitivinicole le risorse guadagnate in altri campi di attività. Cutrofiano è centro noto anche per le ceramiche. Vasi e terrecotte sono il vanto di aziende locali, come quella dei Fratelli Colì (www.coliweb.com), la cui produzione presenta un repertorio di “pupi”, figure umane per presepio, fischietti portafortuna.
Sempre a proposito di ceramica, non dimenticate a Lecce di visitare la bottega “L’Ocra” (www.locra.it) nello storico Palazzo Guarini, dove Lucia Mancini Guarini crea e decora con stile ed eleganza manufatti utili per l’illuminazione, la casa, i giardini. Nel giardino del palazzo, dove soggiornò anche Gioacchino Murat, è possibile visitare un ipogeo messapico del terzo secolo prima di Cristo. Il cognome Guarini ci porta a scrivere della nota azienda agricola duca Carlo Guarini (www.ducacarloguarini.it) che ha sede a Scorrano, 30 chilometri da Lecce. Un’azienda antichissima: la storia dice che Ruggero Guarini arrivò in Puglia con Roberto il Guiscardo, secolo undicesimo. Insignita di molti feudi nel passato, conserva ancora oggi masserie e tenute per circa 700 ettari, coltivati a vigneto, oliveto e seminativo. La Tenuta Piutri, tra Brindisi e Lecce nel comune di Torchiarolo, allinea 70 ettari di vigneti, per lo più autoctoni: Negroamaro, Primitivo, Malvasia nera. I ceppi affondano le radici fra monete e resti di giare romane, a testimonianza dei lontani tempi in cui Virgilio da queste coste ammirava le montagne dell’Epiro, l’attuale Albania. All’inizio degli anni ’90, quando pochissimi conoscevano l’esistenza di uve Negroamaro e Primitivo e i Salentini quasi si vergognavano a esporre il nome del loro vitigno autoctono, i Guarini sfornarono le prime bottiglie in purezza, scrivendo sull’etichetta il nome del vitigno (oggi il “Piutri” è Negroamaro al 100/100). Da allora molto è stato fatto per affermare vini intimamente salentini, puntando su Igt Salento e sui nomi dei vitigni autoctoni. La cantina dell’Azienda Agraria Duca Carlo Guarini è in un palazzo antico di fine Settecento, dove però tutte le fasi della produzione sono all’insegna dell’innovazione con le migliori attrezzature per la vinificazione e il controllo della temperatura. Una barricaia è ricavata in un ipogeo scavato nella pietra, nel 1500 usato come frantoio.
Altra cantina di nobili e antiche origini è la Conti Zecca (www.contizecca.it), a Leverano. La famiglia Zecca si trasferì qui da Napoli nel Cinquecento. Oggi i quattro fratelli – Alcibiade, Francesco, Luciano e Mario – conducono l’azienda con immutato amore e dedizione. Gli ettari vitati sono 320, affidati all’enologo Antonio Romano. Il 30% della produzione va all’estero: Europa, Giappone, Usa. L’azienda si qualifica per la valorizzazione dei vitigni autoctoni e per suddividere la raccolta delle uve tenuta per tenuta, così da avere dei cru con caratteristiche proprie irripetibili. Il vino cult dell’azienda è il “Nero Conti Zecca” (70% Negroamaro e 30% Cabernet Sauvignon), una formula messa in commercio per la prima volta nel 1999 e che subito fece concentrare l’attenzione sul vitigno Negroamaro, che, sposato ad un vitigno internazionale, è diventato uno dei grandi rossi di Puglia.
Sempre a Leverano (“città d’Europa che guarda al Mediterraneo”, sostengono gli amministratori locali) ecco un colosso della viticoltura pugliese: la Cantina sociale cooperativa annovera ben 1.250 soci per complessivi 1.300 ettari vitati. «Fondata nel 1959 – ricorda il presidente Antonio Tumolo – siamo passati da 44 a 1.250 soci, con circa 2 milioni di bottiglie prodotte ogni anno, molte delle quali vanno all’estero. Crediamo molto nei vitigni locali e vinifichiamo in purezza sia il Primitivo che il Negroamaro». (www.cantinavecchiatorre.it). La vitalità di Leverano è testimoniato anche dalla attività della locale Banca di credito cooperativo e del mercato dei fiori, dove 110 floricoltori della zona sono riuniti in cooperativa, guidata da Rocco Leone (
L’altra ricchezza del Salento è l’olio d’oliva e innumerevoli sono le testimonianze di una produzione antica e importante: il territorio è ricco di frantoi. A Gallipoli (un gioiellino il centro storico cinto dalle mura, con stradine tortuose che celano palazzi signorili e splendide chiese) sono censiti in catasto decine di frantoi ipogei. Dal secolo XVII all’inizio del Novecento Gallipoli fu uno dei poli internazionali per il commercio dell’olio lampante, quello che serviva per l’illuminazione stradale. Basti ricordare che a Gallipoli, sino al 1923, ebbero sede i viceconsolati di molte nazioni europee. Non è leggenda il fatto che Londra, Berlino, Pietroburgo e Barcellona per anni e anni vennero illuminate con l’olio lampante acquistato sul mercato di Gallipoli. Si può scendere nel frantoio di Palazzo Granafei, nel centro storico, ben restaurato e aperto alle visite.
Da una costa all’altra. Otranto, sul mar Adriatico, è un’altra cittadina da girare senza meta, per goderne l’atmosfera che trasuda di storia e di tipicità. La costa è ricca di grotte naturali e ville Liberty. Nel centro storico, circondato da mura che rappresentano un capolavoro di architettura militare, visita obbligata all’antica cattedrale, iniziata dai Normanni del XIII secolo, con un grandioso pavimento tutto a mosaico raffigurante l’albero della vita. Nei pressi la chiesetta bizantina (secolo X) di San Pietro. Nel castello aragonese, dal 27 giugno al 27 settembre, è aperta la mostra delle opere grafiche di Joan Mirò, il grande artista spagnolo esponente del surrealismo. Per la tappa gastronomica, ecco un ristorantino senza pretese ma con tutte le carte in regola per farsi apprezzare: è “L’altro Baffo”, nei pressi del “Forte a mare”. La cucina è ovviamente di mare e i fratelli Conte, figli d’arte, sanno come trattare il cliente, in cucina come in sala (www.laltrobaffo.com).
Scriviamo di ristoranti ed allora non possiamo dimenticare, a Lecce, poco distante da porta Napoli, “Alle due corti”, in caratteristica costruzione in pietra, con volte a stella, dove Rosalba De Carlo propone ricette salentine tutelate da copyright (www.alleduecorti.it). Per una immersione nella campagna leccese, un indirizzo consigliato è a Taviano, “A casa tu Martinu”, una “casa” del Settecento dove, in un clima rustico e familiare, si possono degustare i sapori semplici e forti della tradizione salentina. Possibilità anche di pernottamento in camere che si affacciano su rigoglioso giardino (www.acasatumartinu.com).
Ma torniamo a Lecce, la città italiana capitale del barocco, dove decine di chiese (se ne contano oltre 40) e palazzi raccontano la ricchezza di un periodo storico che ha caratterizzato questa città – definita anche la “Firenze del Sud” – per circa 150 anni nei secoli XVII e XVIII. Bighellonate senza timore nelle vie centrali ed osservate come schiere di intagliatori, usando la duttile pietra locale, hanno elevato monumenti di grande splendore. Vale per tutti la Basilica di Santa Croce, ma non dimenticate le chiese di Santa Irene, Santa Chiara e il Duomo. Un modo intelligente per ristrutturare e valorizzare gli antichi palazzi nobiliari è stato quello di ricavarvi eleganti e suggestivi bed and breakfast, come ad esempio quelli di Palazzo Personè (www.palazzopersone.com) con ingresso proprio sulla piazza della chiesa di Santa Croce, Suite 68 (www.kalekora.it), Arco Vecchio (www.arcovecchio.com), tutti nel centro storico. Si riposa sotto volte antiche, con la sensazione che il tempo possa essersi fermato qualche secolo fa.
Roberto Vitali