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Gli antichi Grani, varietà autoctone
E finalmente se ne parla, anche una grossa fetta di popolazione ormai li conosce, li apprezza, li utilizza. Sono i grani antichi, quei grani “genuini” dalle sfumature di odori e sapori che il prodotto industriale non potrà mai avere. Lavorati con la macinazione a pietra (è preferibile, poiché l’integrale comunemente inteso non è quello proveniente dal chicco molito a pietra), la farina che si produce è molto meno raffinata rispetto alle 0 o 00 e mantiene molto di più le proprietà nutrizionali presenti nel chicco. Anche con il pane fatto in casa da farina ricavata da un grano antico (utilizzando ad esempio il lievito naturale come la pasta madre) ci si accorge subito della differenza. Inoltre, essendo il più delle volte frutto di piccole produzioni agricole, sono di qualità migliore. La riscoperta dei grani antichi è merito di piccoli produttori agricoli che coraggiosamente affrontano la concorrenza del grande mercato e scelgono comunque di produrre grani di qualità a discapito del guadagno. Ed è per questo che vanno aiutati a sopravvivere, acquistando, anche se sono un po’ più costosi, i loro prodotti.
In Italia ci sono molte varietà. Tra le più conosciute (ma non del tutto autoctona poichè di origine tunisina) è Senatore Cappelli (già in uso alla fine dell'800 in Puglia e Basilicata, il suo nome deriva dal senatore abruzzese Raffaele Cappelli, promotore nei primi del novecento della riforma agraria che ha portato alla distinzione tra grani duri e teneri) ma ne esistono molte altre in parecchie regioni, soprattutto al sud: come il Saragolla (proveniente dall’antico Egitto, si coltiva ancora oggi tra la Lucania, il Sannio e l'Abruzzo); la Tumminia (o Timilia, antichissima varietà autoctona della Sicilia, utilizzata per produrre il famoso pane nero di Castelvetrano), La Solina (Abruzzo); ancora in Sicilia, il Percia Sacchi (il cui nome significa “buca sacchi” a causa della particolarità delle sue spighe); il Grano Monococco, il Gentil Rosso (coltivato in Italia fin dai primi del ‘900 è stato per 30 anni il grano più coltivato in tutta la penisola); la Verna (antica varietà toscana che contiene solo lo 0,9% di glutine rispetto al 14% di media delle farine tradizionali), il Rieti (un grano nato grazie al lavoro dell’agronomo e precursore della “Rivoluzione verde”, Nazzareno Strampelli, che iniziò gli studi di questo incredibile prodotto nel 1900).
La Sicilia è la regione d’Italia più ricca di grani antichi, circa una cinquantina di varietà autoctone: fra queste la timilia. Storicamente la coltivazione serviva solo per il sostentamento delle famiglie contadine, ma anche come "moneta" di scambio, tanto che era considerato uno dei grani che costituivano la base dell'economia agricola di questo territorio.
Da anni l’istrionico Filippo Drago de I Molini del Ponte di Castelvetrano conduce una battaglia per riportare dignità all’agricoltura siciliana e per proporre un prodotto sinonimo di qualità e godibililtà riconosciuto a livello nazionale e internazionale. (Molini del Ponte - Via G. Parini, 29 Castelvetrano,
Altre realtà emergenti e di ridotte dimensioni “sopravvivono” a fatica ma con caparbietà. E’ il caso della piccola azienda “Vega” di Prizzi, cinque ettari di coltivazione suddivisa in Timilia e PerciaSacchi. Due le tipologie di pasta come prodotto finito mentre una discreta produzione di grano, dal metodo di coltivazione rigorosamente bioetico, viene molito dal Mugnaio Filippo Drago sopracitato (Prizzi – Contrada Cavadduzzi –
Qualcosa si muove anche nel privato volto a “fare sistema”: nella regione è appena nata (febbraio 2016 con sede a Enna), l’Associazione “Simenza – Cumpagnìa Siciliana Sementi Contadine”, al fine di salvaguardare la biodiversità siciliana. Il gruppo, formato da piccoli produttori, agricoltori, allevatori, docenti e ricercatori universitari, anche chef, si pone come obiettivo l’attuazione di un sistema regionale per tutelare e affiancare i piccoli agricoltori nella chiusura di filiere a corto raggio promuovendo sistemi di produzione sostenibili e modelli di agricoltura rigenerativi. Perché Salvaguardare la biodiversità significa proteggere i prodotti della propria terra e salvare i semi dall’estinzione, evitando che le risorse genetiche vadano nelle mani di chi è interessato solo a speculare.
Silvia Donnini