salame di cinta I suoi prosciutti, salami, spalle, salsicce, lardo, sono tutti prodotti dal sapore eccelso e delicato allo stesso tempo, dalla gradevole caratteristica di scioglievolezza e, adesso più che mai, valgono un occhio della testa. Senza toglier niente all’artigiana lavorazione delle sue carni, la cinta senese vanta una materia prima di ottima qualità, risultato di un allevamento calibrato sulle naturali e centenarie caratteristiche fisiologiche dell’animale.

Allevata da famiglie di contadini senesi e chiantigiani prima che l’istituzione della mezzadria finisse, ha in seguito rischiato la definitiva estinzione della sua specie.

Stiamo parlando del più toscano fra i maiali: adatto alla vita campestre e a proprio agio solo se lasciato nella libertà del suo unico stato di sopravvivenza, quello brado o semibrado.

Più piccolo dei porcelli da cartoons rosa pallido ai quali siamo oggi tutti abituati, con la sua presenza ci rievoca vagamente i tempi passati, quelli in cui i maiali portavano il lutto e già allora si distingueva celando un’orgogliosa voglia rosa sotto setole bianche a cingerle il torace fino agli arti anteriori. Oltre alla caratteristica cinta, la senese possiede altre particolarità somatiche che la avvicinano all’aspetto del maiale selvatico: muso allungato con mascelle ben sviluppate, orecchie piccole portate in avanti e moderatamente pendule, coda ben attaccata e non riccioluta.

La sua sorte non fu differente da quella di molte altre specie animali e vegetali: le furono preferite nuove razze, più produttive e meno esigenti, dal ciclo di macellazione più breve e dalla maggiore prolificità.

E’ la logica schiacciante del nuovo modello di produzione a tutti i costi che ha inglobato nelle sue dinamiche anche gli esseri appartenenti al mondo animale. Si tratta dell’inizio della selezione innaturale ad opera dell’uomo che, abbandonate le campagne, lascia alle spalle assieme alla precarietà esistenziale, il cristiano sentimento di rispetto verso chi ci sostenta e condivide con noi il ritmo duro di un ambiente ancora troppo poco antropizzato.

Fra i nostalgici qualcuno ha provato a trasformare l’animale in un essere più consono all’ambiente urbano, ma l’ingrato maiale si ammalava fino a morire, senza comprendere che dal buon esito di questa operazione di adattamento sarebbe dipesa la sopravvivenza della propria specie.

Alla fine degli anni ’70, quando si è cominciato a ritenere l’anoressia più una malattia che un’estetica della forma, qualche pioniere ha riscoperto la cinta ed il suo grasso generoso e disponibile. Alcune iniziative isolate hanno dato il via al lungo piano di recupero.

La prima difficoltà per gli allevatori è stata ricreare un numero tale di maiali da poterli ritenere fuori pericolo di estinzione. Era necessario risolvere il problema della consanguineità dovuto ad un esiguo numero di rappresentanti sopravvissuti dai quali doveva ripartire il ciclo riproduttivo: tre verri e diciotto scrofe.

La soluzione venne da sé: una volta ricongiuntesi con lo stato brado, le scrofe si sono date a festeggiamenti folli e imprevedibili scappatelle. I frutti delle infedeltà hanno riconosciuto al cinghiale le paterne identità e, oltre a rispettare perfettamente i canoni estetici dell’antica razza, si sono dimostrati rinvigoriti dalle mescolanze sanguinee.

Definire l’accaduto un buffo caso della natura svelerebbe uno sguardo troppo antropocentrico, tuttavia l’uomo ha imparato la lezione ed oggi il nuovo progetto in cantiere è una “banca dei verri” che, similmente a quella del seme, trova il maiale giusto ad ogni femmina, garantendo nuova linfa agli allevamenti, 80 attualmente iscritti al Consorzio di Tutela della Cinta Senese costituito dall’Associazione Senese Allevatori.

Un esperto li va a trovare a qualche settimana dalla nascita delle ultime generazioni e le registra, ciascuno con un numero, decidendo del loro destino. Seleziona chi meglio ha rispettato i caratteri della razza e li distingue da coloro che più se ne sono allontanati. I primi saranno destinati a continuare la specie, i secondi sono già carne da banchetto. Questione di mesi, ed anche i primi sono al macello.

In questo modo l’associazione garantisce per l’intera filiera, coordinandone ogni singolo passaggio. Chi compra un prodotto di cinta senese ha la garanzia del marchio e la rintracciabilità dell’allevamento da cui esso proviene.

La richiesta della D.O.P è arrivata a Strasburgo.

Quest’avventura, finita bene, è la riprova che porsi al di sopra delle regole della natura è controproducente. Natura e Cultura sono indispensabili l’una all’altra, coinvolti in un processo di coevoluzione all’interno di un sistema bio-socio-culturale complesso che spontaneamente rigetta il cibo ed il gusto medio per tutti. Lo testimonia Ambrogio Lorenzetti nel suo Effetti del buon governo in città e in campagna. L’affresco irriverente svela il segreto del maiale e del suo fetente custode che deve alla bestia da una parte la sciagura della propria solitudine,dall’altra la patente della propria libertà.prosciutti cinta

La macelleria di Sergio Falaschi nella splendida cittadina di San Miniato, socio del Consorzio di Tutela della Cinta Senese, è un esempio fra i tanti che hanno deciso di di continuare il percorso alla ricerca della qualita’ e della salubrita’ dei prodotti. Attraverso le fascette numerate per la tracciabilità, concesse dal Consorzio come da disciplinare, viene garantita tutta la filiera del prodotto a favore sia dell’allevatore che del trasformatore e chiaramente nel pieno interesse del consumatore finale, evitando contraffazioni.

 

(Valentina Vivarelli)